mercoledì 17 ottobre 2012

Inviti insperati

Sono catechista da una vita, ma non l'ho mai fatto continuativamente e ho sempre cambiato il gruppo che seguivo.

Ho cominciato che ero ancora alle medie aiutando mia mamma con la classe di mia sorella: più che la catechista facevo un po' di servizio d'ordine.

Poi, mentre ero alle superiori, ho cominciato a seguire un gruppetto di pre-adolescenti (post-cresima) facendo la catechista. Allo stesso gruppo ho fatto catechismo quando ero all'università e loro erano ormai adolescenti.

In seguito, quando ormai lavoravo, ho seguito per un anno il gruppo di mio fratello, adolescente.

Allora c'era ancora il vecchio parroco, che lasciava libertà assoluta alle catechiste, e credo di non aver mai incontrato un solo genitore dei ragazzi che seguivo.

Ho dei ricordi bellissimi, anche perché da sempre sono affascinata dall'età adolescenziale: è l'età in cui i ragazzi cercano di scoprire se stessi e il mondo; in cui li puoi affascinare con un gioco "pissicologico"; in cui cominciano a farsi domande importanti su diritti e doveri, sulla Vita e la Morte. E poi il catechismo non è più "obbligatorio", chi ci va, bene o male, ha già fatto delle scelte oppure le farà anche grazie a quello che tu riesci a trasmettergli. I gruppi sono più piccoli, conta di più l'amicizia tra i singoli membri, i ragionamenti si fanno più complessi, gli esempi più arditi, il rapporto più paritario.

Alcuni ragazzini che seguivo a catechismo sono, da adulti, miei amici e questo è molto bello.

Da quasi 3 anni invece seguo i bambini, perché nell'attuale contesto parrocchiale gli adolescenti vengono seguiti dai giovani e si preferisce che gli adulti si dedichino ai bambini, per tutta una serie di motivi che, giusti o sbagliati che siano, non sono sindacabili (come spesso succede nella Chiesa).



Ho dato la mia disponibilità perché sapevo che c'era bisogno, perché avevo il tempo per farlo, perché avevo bisogno di avere qualcosa da fare che mi tenesse occupato il cervello e mi desse la possibilità di staccare dai miei figli (perché una mamma ha bisogno anche di spazi indipendenti dalla propria progenie).

Non me ne pento (almeno quasi mai! :-D ) però ammetto che è difficile. E' difficile perché non sono abituata a parlare a bambini di quell'età (i miei figli sono più piccoli di quelli che seguo a catechismo), perché non sono capace a gestirne così tanti (quanta pazienza, quanto polso, quanto carisma che ci vuole!), perché ho poco tempo per conoscerli, perché per la prima volta devo interagire anche con i genitori, senza avere in realtà molte occasioni per parlare loro direttamente.

Così, incoraggiata dalle esperienze raccontate durante gli incontri di formazione, ho preso il coraggio a due mani e ho proposto alle famiglie dei bambini che ho catechismo un incontro a casa loro. Ero molto titubante, perché auto-invitarsi non è mai educato e uno può sentirsi a disagio; perché dovrò chiedere a mio marito il tempo per andare a casa di chi mi inviterà (e lui non credo ne sarà entusiasta); perché non so neanche io cosa aspettarmi da questi incontri, né so cosa si aspettano loro.


So però quali sono le mie speranze: spero che, conoscendosi, sia più facile parlare; spero di non dover fare l'avvocato d'ufficio delle scelte dei preti (perché a volte non le condivido neanche io, o addirittura non le capisco neppure; e a volte le prime che ci rimettono per certe scelte siamo noi catechiste, sigh!); spero di riuscire a trasmettere la passione che cerco di metterci, l'importanza del lavoro di squadra, il sincero desiderio di capire e farmi capire.

Mi piacerebbe riuscire a farli sentire parte di una famiglia più grande, a volte scalcagnata, a volte irritante, a volte ingombrante... ma presente e interessata a loro.

Beh, un po' inaspettatamente già 4 mamme si sono dimostrate disponibili all'incontro e questo è, se non altro, incoraggiante :-)

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