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lunedì 14 gennaio 2013

La vita

Ieri un ragazzo che conosco ha messo sulla sua bacheca di Facebook la seguente riflessione:
"Alessandro,un ragazzo che si è dato fuoco per amore. Consideratelo pazzo io lo reputo un uomo che ha amato la sua donna"
dal blog http://pietrochiarenza.wordpress.com
Non so se avete letto la notizia del ragazzo che a capodanno è andato sotto casa dell'ex e, dopo averle dichiarato per l'ennesima vota il suo amore, si è dato fuoco. Dopo il gesto, ricoverato in ospedale, ha detto di essere pentito: "No, non lo rifarei. Adesso ho capito che per lei non vale la pena morire".

Sono rimasta molto colpita, non dal gesto di Alessandro, di cui parlerò dopo, ma dall'ammirazione che ha suscitato nel ragazzo che conosco e nei suoi amici (se posso tradurre i "mi piace" di quel post come approvazioni). Anche un po' preoccupata come mamma: tutti possibili emuli?

Certo, l'adolescenza è un'età in cui i ragazzi (sia maschi che femmine) sono attratti dall'amore: non è ancora arrivato il cinismo e il dolore frutti delle prime delusioni. Ma possibile che si possa dare così poco valore alla vita? "io lo reputo un uomo che ha amato la sua donna": tentare di uccidersi sotto la finestra della ex come un "normale" segno di Amore? Ma siamo pazzi? 

giovedì 10 gennaio 2013

Buona educazione

Ieri pomeriggio sono andata come al solito a prendere mio figlio all'uscita della scuola elementare (primaria, primaria!) e ho assistito per l'ennesima volta ad una scena che mi ha infastidito.

No, non parlo di chi parcheggia in seconda fila, davanti ai cancelli, sul marciapiede, e neanche delle cacche di cane che insozzano i luoghi di passaggio.

Più banalmente, mentre tornavamo a casa, camminavano dietro di noi due compagni di mio figlio: quando me ne sono accorta, li ho salutati e mi sono messa a chiacchierare con il papà di quello subito dietro, mentre mio figlio disdegnando il suo e salutava con entusiasmo e trasporto quello dopo, che poi era nostro cugino, nonché suo miglior amico da anni.
Anche quando ci siamo separati, stessa scena.

Subito dopo l'ho redarguito senza pietà: "Ti sei reso conto di essere stato molto maleducato?". Lui ovviamente è caduto dal pero e mi ha guardato con il suo sguardo da "cos'ho fatto, mamma???".
Gli ho quindi dovuto spiegare che i bambini educati salutano tutti quelli che conoscono: come può aspettarsi che poi durante l'intervallo i bambini abbiano voglia di giocare con lui se fuori da scuola neanche li saluta?

Faccio una piccola parentesi: mio figlio in genere non è maleducato, è un bambino bravo, molto apprezzato dalle maestre e si trova bene con bambini e adulti. Eppure a volte mi cade su delle cose veramente banali! Non riesco a capire se sia una forma di timidezza (saluto solo chi so che mi saluterà) oppure se è proprio menefreghismo.

Comunque stamattina, andando a scuola, ho deciso fosse il caso di riprendere l'argomento perché, a mano a mano che i bambini crescono, i loro "doveri sociali" aumentano e forse era da troppo tempo che non gliene facevo notare qualcuno nuovo.

Gli ho spiegato che la buona educazione serve a vivere bene con gli altri e che ogni ambiente e ogni gruppo di persone ha delle regole proprie: in classe, se un bambino vuole dire qualcosa deve alzare la mano e non si può chiacchierare liberamente tra compagni; a mensa invece queste regole non valgono, però non ci si può alzare liberamente, cosa che si può fare durante l'intervallo.

Insomma, per farla breve, penso che utilizzerò i preziosi minuti del tragitto casa-scuola per dare un po' di indicazioni a mio figlio e vedremo come andrà :-)

martedì 27 novembre 2012

Educazione sessuale

L'altro giorno a catechismo ho fatto leggere la parabola del padre misericordioso, senza ricordare che ad un certo punto c'è una parola particolare: nell'ultima parte del brano, quando il figlio maggiore si lamenta col padre della festa data per suo fratello che è tornato, dice:

" Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso."
Ovviamente i miei bambini hanno subito chiesto: "Cosa vuol dire prostituta?"
Pork!

sabato 24 novembre 2012

Donna Letizia

Alcuni mesi fa è purtroppo morto un prozio di mio marito e abbiamo così ereditato le cose più diverse: dagli ombrelli, che come al solito perderemo o romperemo in breve tempo, ai servizi di piatti, dai contenitori per i cibi ai libri. Tra questi ultimi ne ho scelto uno che mi ha incuriosito: "Il saper vivere" di Donna Letizia, stampato dalla Mondadori nel lontano 1960!

Ieri sera non riuscivo ad addormentarmi, così, invece di dedicarmi al libro sulla psicologia dell'apprendimento (che riesce velocemente a farmi scivolare nel sonno... chissà come mai!), ho pensato di cominciare questo, convinta che il risultato sarebbe stato più o meno lo stesso. Invece no!

Certo, alcune descrizioni sono veramente noiose (cosa deve contenere un corredo, come scrivere un invito al matrimonio, con tutte le varianti possibili e immaginabili, com'è fatto un tight che si rispetti...), ma il resto è molto interessante e a volte persino divertente: Donna Letizia è arguta e le descrizioni presentano perfettamente com'era la vita (e le seghe mentali) dell'alta borghesia degli anni '50.

venerdì 23 novembre 2012

Ex colleghi

Ieri sera sono uscita a cena (in pratica un evento!) con alcuni miei ex colleghi: adoro questi ritrovi perché ci si aggiorna sulle novità, ma soprattutto si ricreano schemi e si rispolverano battute che, chissà come mai, ci fanno sempre morire dal ridere :-D

D'altra parte i miei ex colleghi sono un gruppo davvero particolare: adoravo andare a pranzo con loro, quando eravamo tutti in azienda, perché gli argomenti di conversazione non erano mai banali e spaziavano dalla storia alla politica, dall'economia alla genetica... Ricordo che un altro ex collega, raccontando di come si trovasse sul nuovo posto di lavoro, disse: "non ci crederete, ma loro a pranzo parlano di calcio e veline!" :-D

In particolare possiamo annoverare nel gruppo un highlander: Giorgio, fisico appassionato di storia, racconta gli avvenimenti storici come se ne fosse stato testimone, con effetti comicissimi, che ovviamente noi amplifichiamo:
Lui (alle 8.30 del mattino di un 21 marzo, vedendomi entrare in ufficio): "Chissà come fecero i Caldei nelle loro Ziggurat a capire quand'era l'equinozio!"
Io (un po' sconvolta dalla domanda fatta a bruciapelo...):"I Caldi nelle loro zigulì? Giorgio, come fai a non saperlo, all'epoca eri in un altro continente?"

sabato 3 novembre 2012

Sono fatti miei...


Vi è mai capitato di chiedervi se è il caso di parlare oppure no? 

Ho una coppia di amici che si è mollata e ripresa diverse volte. Io, essendo amica di entrambi, ogni volta che si lasciavano, li consolavo (separatamente, of course!) e cercavo di convincerli a voltare pagina: non ho mai creduto molto nelle "minestre riscaldate". Poi regolarmente loro si rimettevano insieme e io rimanevo un po' imbarazzata... e non vi dico come ci sono rimasta quando mi hanno chiesto di fare la loro testimone di nozze!   :-O 
Comunque il matrimonio ha fatto loro bene: poi non si sono più mollati! ;-)

Da quel momento ho cercato di evitare di prendere posizioni troppo nette, anche se non sempre ci sono riuscita: una delle mie più care amiche si innamorò per esempio di un animatore di un villaggio a Santo Domingo, e ne successero di tutti i colori (prima o poi devo scrivere un libro su quella ragazza), cosicché ad un certo punto cercai di convincerla a troncare i rapporti con lui... ovviamente ora sono felicemente sposati e hanno due bambini! Che occhio che ho, eh? :-D

Capite bene che adesso faccio un po' fatica a esporre le mie idee, o almeno evito di sembrare troppo convinta anche quando mi viene esplicitamente chiesto un parere. Il problema nasce quando il parere NON mi viene richiesto!

Per esempio, voi cosa fareste se aveste seri indizi che la ragazza del vostro miglior amico lo tradisce? Parlare o non parlare? Mettergli qualche dubbio? Parlare con lei? Quando mi è capitato ho lasciato perdere, cercando solo di essere più presente per lui, nel caso avesse bisogno. Ma a posteriori ancora non mi sento del tutto sicura di essermi comportata correttamente.

Oppure se pensaste che una coppia di vostri conoscenti ha qualche problema: alcol, droga, gioco... provare a tastare il terreno, chiedere, far finta di niente? Beh, se si tratta di amici-amici io proverei a parlarne, andandoci cauta... ma se negassero anche l'evidenza? Qual è il limite invalicabile anche per un'amicizia? 

E se invece non fossero amici-amici, ma quelle persone che ogni tanto si frequenta senza mai andare troppo in profondità? 
Il buon senso mi dice di tacere, che non sono fatti miei, che magari sto sbagliando alla grande e potrebbero pure offendersi... il cuore invece si chiede se non possa servire anche questo, che una quasi-sconosciuta si mostri disponibile a parlarne, per aiutare chi ha una difficoltà. 

venerdì 19 ottobre 2012

Solidarietà

Ripensavo al post Bimbi e soldi e riflettevo sul fatto che, oltre al discorso del risparmio e della spesa oculata, c'è un altro aspetto che vorrei passare ai miei figli, cioè quello della solidarietà. 

I miei genitori mi hanno dato sempre un buon esempio su questo punto: ricordo quando cambiarono la cucina, ormai credo siano passati almeno 15 anni, e decisero di dare in offerta una percentuale importante di quella spesa. Allo stesso modo, quando hanno cominciato a  regalarci la busta per Natale e compleanno, ci hanno anche chiesto se volevamo regalare parte di quei soldi a chi ne aveva più bisogno (in particolare, avevamo deciso di aiutare l'associazione CAF di Milano).

Crescendo ho cercato di mantenere questo spirito (quando ho cominciato a lavorare, per un paio d'anni ho dato un contributo mensile ad Emergency), poi le spese sono cresciute (la macchina nuova, poi la convivenza e la costruzione della casa) e la solidarietà è diventata più spicciola e occasionale. 

Ogni volta che ci penso mi sento sempre in difetto per questo. 

domenica 14 ottobre 2012

Bimbi e soldi

Mi riallaccio al post della 27esimaora e premetto che non mi interessa minimamente far diventare ricchi i miei figli, però mi preme che capiscano il valore del denaro e che imparino ad usarlo (possibilmente "bene").

La domanda è quindi: come ottenere questo risultato?

Quando ero piccola i miei genitori davano a me e ai miei fratelli la paghetta settimanale, che noi potevamo usare più o meno come volevamo (anche perché, data la sua entità, non ci permetteva usi particolarmente stravaganti: un gelato, qualche caramella o ghiacciolo, un pacchetto di figurine...). Se eravamo invitati ad una festa di compleanno, il regalo lo pagavano i miei, però quando io e mia sorella, più o meno a 9 e 6 anni, volemmo assolutamente acquistare la Barbie del momento, la Barbie Fior di Pesco, mia mamma ci propose la "bisciua", che, tradotto dal genovese, significa risparmiare soldi per poter poi acquistare qualcosa. Credo sia stata l'unica volta in cui l'abbiamo fatta, ma me la ricordo ancora bene.
Poi crescendo la paghetta aumentò in proporzione al cambiamento delle nostre esigenze e agli aumenti di stipendio di mio papà, ma aumentavano anche le cose che dovevamo riuscire ad acquistare con quei soldi (per esempio i regali agli amici dovemmo cominciare ad acquistarli noi, credo dalle superiori).

A posteriori credo che con me abbia funzionato questo sistema e penso che lo utilizzerò anche per i miei figli (anche perché fortunatamente mio marito è cresciuto con un sistema simile...), il problema è stabilire quali sono le spese che devono fare loro e quindi qual è la cifra giusta da dargli e quanto spesso dargliela. 

In più c'è il fatto che mio figlio ha già dei soldi suoi: in questi anni parenti vari gli hanno dato sporadicamente delle mance, che lui ha diligentemente messo nel salvadanaio e nel portafoglio, ma in pratica non li ha mai usati perché finora abbiamo sempre deciso noi quello che potevamo acquistare noi per lui.

E quindi che fare di quei soldi già accumulati? Quando gli daremo la prima paghetta, quei soldi potrà usarli o no? Come fargli capire che sono un "capitale" da mantenere per le necessità (quali?) più importanti e non un fondo da cui attingere ogni qualvolta spendesse la paghetta troppo frettolosamente?

Non so, sono tutti interrogativi che mi pongo e a cui non so dare una risposta precisa, attendendo l'inizio dell'esperimento: l'estate prossima, quando andrà al grest.

E voi cosa ne pensate?

mercoledì 10 ottobre 2012

Essere educatori

In questi giorni sto facendo delle riflessioni tra me e me sull'essere educatori e dato che ragiono meglio quando scrivo, ho pensato di condividerle sul blog.

Le mie riflessioni partono del mio essere genitore, catechista e, forse, futura insegnante. 

Come genitore, mi rendo conto ogni giorno delle difficoltà del mio ruolo, soprattutto oggi, quando psicologi, pedagoghi e... chiunque altro si sente in diritto-dovere di dare consigli su come educare, curare, far crescere i nostri figli. Devo ammettere che se riesco, di solito, ad accettare i consigli (salvo poi fare quel che credo sia meglio io), odio proprio quelli che la mettono in negativo, per esempio: fare un inserimento lungo rende i figli bamboccioni (27esimaora), utilizzare il biberon oltre i due anni di età provocherà l'obesità di tuo figlio (ricerca scientifica americana), se dai una sculacciata a tuo figlio crescerà violento/disadattato/insicuro/depresso/potenziale suicida (per esempio qui), e potrei continuare. Mi sembra che più che farci riflettere o aiutarci a migliorare come genitori, vogliano solo colpevolizzare e in questo modo non fanno altro che renderci più insicuri e indecisi sulla linea da tenere. 
E poi diciamocelo, dopo 1, 2, 10 anni uscirà fuori una nuova moda o una nuova ricerca che dirà esattamente l'opposto, con tanto di dati alla mano. 
Il risultato è che o si sposa una teoria e la si segue acriticamente, oppure si cerca faticosamente una propria strada in questa giungla, cercando di perdonarsi quando ci si rende conto di aver sbagliato e sperando che i nostri figli siano capaci di sopravvivere ai nostri errori. 

Come catechista mi rendo conto che il mio (piccolo) apporto non è niente se non è collegato al lavoro dei genitori. In questi giorni io e una mia "collega" abbiamo avuto dei colloqui con diversi genitori per problemi dei/coi loro figli e mi è stato ancora più chiaro come le cose possano funzionare bene quando si cerca di trovare soluzioni comuni, di venirsi incontro e si mettono al centro le necessità del bambino, mentre quando si crea un "muro contro muro" in cui ognuno accusa l'altro di non comportarsi correttamente il primo a rimetterci è proprio lui. D'altra parte è vero anche che noi catechiste vediamo proprio per poco questi bambini, non abbiamo materialmente il tempo per creare un rapporto più profondo, almeno non quando ce ne sarebbe più bisogno, e quest'anno comincio a sentirla come una limitazione. 

E questo mi fa pensare al lavoro delle insegnanti. Quest'anno mio figlio ha cominciato la scuola elementare e, su mia richiesta, non è in classe con un suo compagno dell'asilo che lo ha sempre preso di mira. Ovviamente però lo vede ancora durante l'intervallo e nei primi giorni sembrava che la situazione creata all'asilo si ripresentasse anche qui. Poi il "miracolo": mio figlio mi ha informata che il "tormentatore" è "diventato bravo"!
Con tutto il rispetto per il lavoro delle maestre dell'asilo, penso di non sbagliarmi ritenendo che tale miracolo sia merito delle maestre della scuola, che evidentemente hanno trovato il modo per relazionarsi con quel bambino e fargli capire come ci si debba comportare. E ne sono felicissima, per lui e per mio figlio, che ora ha la vita più facile, ma soprattutto che spero abbia imparato che certi problemi possono risolversi. 

Ecco, le insegnanti hanno la possibilità di conoscere molto di più i nostri figli e con loro penso sia davvero importante creare quella che adesso viene chiamata "alleanza educativa". Ma come è difficile essere una brava insegnante! Riuscire a superare le proprie simpatie (credo sia umanamente impossibile non averle) e soprattutto le proprie antipatie; riuscire ad essere autorevoli, ma non autoritarie, comprensivi, ma non pappe molli... oltre ovviamente ad essere preparati e capaci di trasmettere le nozioni, e uno stile nell'approcciare il mondo. Io ho avuto la fortuna di avere una favolosa maestra alle elementari e mi rendo conto che molte delle mie convinzioni risalgono ad allora: la fede europeista e quella ecologista, per esempio, mi rendo conto che mi sono state insegnate in quegli anni. 
E non penso che crescendo l'importanza dell'avere validi insegnanti diminuisca, anzi! Nell'adolescenza, quando i genitori cominciano a infastidire, penso sia fondamentale incontrare dei professori che riescano ad essere punti di riferimento (magari inconscio). 

Credo davvero che se genitori, insegnanti, educatori in generale riuscissero a parlarsi,a lavorare insieme, ad influenzarsi positivamente in maniera vicendevole, educare sarebbe più facile e potremmo davvero ottenere tutti dei risultati migliori. 

domenica 7 ottobre 2012

Sport e figli

Seguo sempre il blog della 27esimaora sul sito on-line del Corriere della Sera (http://27esimaora.corriere.it/): non sono sempre d'accordo sulle tesi degli articoli, ma spesso e volentieri li trovo interessanti o curiosi.

Oggi ho letto un articolo che mi è piaciuto:  http://27esimaora.corriere.it/articolo/i-grandi-siamo-noi-dimenticarlo-costa-caro/#more-6190

Mi è piaciuto perché proprio in questi giorni ero dibattuta se insistere o meno con mio figlio per farlo andare ai corsi di nuoto e implicitamente ho trovato nell'articolo quella spinta che mi mancava.

Premetto che mia mamma non ha mai insistito per farmi fare nulla: un po' perché avendo molti figli era più comodo (ed economico) che noi non fossimo appassionati di corsi sportivi o di altro genere, un po' perché lei per prima non è mai stata sportiva, e a me è sempre andata bene così. Questo non significa che ci abbia impedito di sperimentare: io ho cominciato a studiare pianoforte, ad andare a fare ginnastica artistica, a giocare a pallavolo... e smettevo regolarmente dopo uno o due mesi! Un disastro di pigrizia. E mia mamma non ha mai insistito per farmi portare a termine l'impegno. D'altra parte alle elementari ho fatto 5 anni di piscina e di minibasket (curricolari), e questa era una buona scusa.

Mio figlio invece non andrà in piscina con la scuola e questo mi spiace molto, per cui ho pensato che potrebbe essere utile che imparasse a nuotare, visto che ama l'acqua. Il problema è che mio figlio è anche pauroso, insicuro e ansioso e l'idea di dover nuotare senza braccioli (conquista di quest'estate: prima entrava in acqua solo con il salvagente!) lo spaventa tantissimo. Sostiene che preferirebbe andare a calcio, anche se non lo vedo spesso con un pallone ai piedi.

Che fare? Ed ecco la risposta nell'articolo: a decidere dobbiamo essere noi adulti! Evviva! Calcio può aspettare l'anno prossimo, quando il nonno sarà in pensione e sarà ben felice di accompagnarlo agli allenamenti; quest'anno si fa nuoto... e dopo lo so che mi ringrazierà :-) .....

piscina di moriggia, dal sito della Prealpina

...o no? :-§